Gli studi prospettici rappresentano una tappa fondamentale della ricerca clinica. Alla base dello studio prospettico, infatti, vi è l’operazione di reclutamento o selezione dei partecipanti oggetto di indagine clinica secondo precisi criteri di inclusione e di esclusione. La definizione di questi criteri assolve a diversi scopi. Il primo fra tutti è di natura eminentemente etica: ovvero, assicurarsi che le caratteristiche dei soggetti che saranno inclusi non realizzino una condizione per cui la conduzione dello studio diventi eticamente inaccettabile; il secondo, accertarsi che i partecipanti allo studio presentino effettivamente tutte le caratteristiche richieste per la conduzione stessa dello studio; il terzo, verificare che non possiedano, o possiedano in misura limitata e possibilmente controllata, altre caratteristiche che, invece, possano contribuire a modificare il risultato dello studio rendendolo quindi di difficile interpretazione.
I criteri di inclusione ed esclusione dei partecipanti, ferme restando tutte le scelte compiute per motivi etici, sono decisi in relazione agli obiettivi dello studio. Più precisamente, in relazione all’obiettivo primario: quello ritenuto dai ricercatori più importante e, in sostanza, quello per cui lo studio è condotto. La definizione puntuale dell’obiettivo primario è di fondamentale importanza: tanto più l’obiettivo è chiaro, tanto più sarà chiaro e relativamente semplice decidere quale sia il disegno sperimentale migliore da dare allo studio, compresa la definizione dei criteri di inclusione ed esclusione. L’obiettivo deve per definizione potersi raggiungere attraverso la misura quantitativa di una grandezza (che sarà l’outcome primario dello studio, e la sua unità di misura il corrispondente endpoint primario), sulla quale dovrà potersi esprimere un’ipotesi verificabile in termini solitamente statistici. Nella pratica, si dovrebbe giungere ad esprimere il quesito principale dello studio in termini di una precisa ipotesi in relazione all’outcome primario, e quindi ai valori assunti dal corrispondente endpoint, che possa essere oggetto di analisi statistica, al fine di valutare se essa sia verificata, e associando a questa affermazione una data probabilità di avere commesso un errore di primo tipo (ovvero, una data probabilità di avere affermato il falso, e che fosse in realtà vera l’ipotesi contraria), dove la soglia tipica di probabilità di errore di primo tipo (ovvero, di significatività), sotto la quale si può ritenere verificata un data ipotesi di studio è, come noto, 0.05.
Definito un quesito clinico, e quindi l’obiettivo dello studio da compiere, la scelta dell’outcome primario (e del relativo endpoint) è frutto di diverse considerazioni: tra queste, la scelta del disegno sperimentale più adeguato. Di fatto, ferme restando tutte le doverose considerazioni di tipo etico che devono governare qualunque scelta si compia in fase di progettazione di uno studio clinico, la definizione del protocollo che sarà seguito sarà anche oggetto (e frutto) di considerazioni in relazione alla fattibilità dello studio stesso.
A questo riguardo, in presenza di possibili disegni sperimentali diversi tutti eticamente validi, divengono cruciali considerazioni spassionate che valutino per ciascun disegno possibile la robustezza del risultato che è possibile ottenere, in rapporto alla fattibilità di ciascuno. In questo scenario, uno degli step fondamentali da compiere è eseguire – per ciascun disegno sperimentale, in relazione ai corrispondenti outcome, endpoint primari, e modalità di valutazione statistica dei dati – una power analysis al fine di determinare quale sia la dimensione adeguata del campione da considerare, ovvero quanti siano i soggetti da reclutare. Questo numero, fermo restando il caso in cui esso sia troppo elevato e quindi lo studio da doversi dichiarare fin da subito infattibile, dovrà essere valutato quindi in termini di capacità di reclutamento del centro o dei centri coinvolti, al fine di verificare che lo studio possa condursi in tempi ragionevoli.
Dopo le opportune considerazioni in merito alla numerosità campionaria, altri fattori potranno comunque intervenire a determinare se lo studio è fattibile, o meno: non ultime, considerazioni anche di natura prettamente economica (anch’esse solitamente collegate al numero di soggetti da reclutare).
La definizione dei criteri di inclusione ed esclusione dovrà essere operata con estrema attenzione: con lo scopo di identificare un campione omogeneo di partecipanti, ovvero ben definito in relazione all’obiettivo prefissato, e – soprattutto – per eliminare l’effetto di possibili variabili confondenti: ovvero, di variabili che potrebbero inficiare i risultati sia portando a concludere che vale l’ipotesi nulla, ovvero che la differenza ipotizzata dal ricercatore non esiste, quando invece la differenza effettivamente c’è, ma la variazione delle variabili incontrollate non permette di rilevarla), sia che l’ipotesi di test dello studio è vera (ovvero che la differenza ipotizzata dal ricercatore esiste, ma questa viene attribuita dal ricercatore come dipendente da alcune delle variabili a lui accessibili sperimentalmente, quando – invece – è dovuta in tutto o in parte alla variazione di variabili non controllate e a lui non note). L’adozione di criteri di inclusione ed esclusione molto stringenti, tuttavia, dovrebbe essere sempre valutata con attenzione, in quanto più probabilmente concretizzante una situazione “distante” dalla reale pratica clinica – punto che dovrà essere analizzato criticamente soprattutto in sede di interpretazione traslazionale dei risultati ottenuti.
In definitiva, la progettazione di uno studio clinico di tipo prospettico richiede l’intervento di un team con diverse competenze che veda lavorare di concerto – assieme ai principal investigators dei centri coinvolti – esperti in ricerca clinica, bioetica, e statistica.