Quante insidie per chi scrive articoli scientifici!
Melania Trump, Joseph Biden, Martin Luther King, George Harrison, Johnny Cash, The Beach Boys, Thomas Sterns Eliot, Led Zeppelin. Cosa hanno in comune costoro? Quale filo rosso li lega? Si tratta di qualcosa che li porta sulla Terra e che li rende più vicini a noi o almeno alla nostra esperienza di terreni peccatori.
Di quale crimine si saranno mai macchiati? Solo loro? No, l’elenco può allungarsi fino a toccare le rive della nostra Italia con la politica Marianna Madia, gli attualissimi Måneskin, l’eterno Al Bano e i compianti Enzo Jannacci, Fabrizio De André ed Enrico Caruso.
Tutti, in modo diverso, sono stati toccati da vicino dal plagio. Pochi innocenti, tanti carnefici, una sola vittima: il pensiero originale. Nessuna paura e non lasciamoci andare al perbenismo. Il rischio di ricadere in situazioni definibili come plagio è reale ed esiste anche quando si lavora con attenzione e in completa buona fede.
Si tratta di una questione che ha acceso gli animi per migliaia di anni e molti, anche illustri nomi della letteratura, non si sono fatti grandi remore a pigliare tutto ciò che gli aggradava riversandolo nei loro componimenti. Uno di questi era certamente Shakespeare.
Uno al quale proprio non andava giù era invece Marco Valerio Marziale che, rivolgendosi a Quinziano, gli raccomandava di difendere i suoi versi dal rapimento, dal plagium da parte di un altro poeta desideroso di impossessarsene. E a Marziale dobbiamo forse l’uso della parola plagium in senso moderno. Il diritto romano conosceva infatti il plagium come il (reato di) voler vendere come schiavo un uomo libero o impossessarsi di uno schiavo altrui con un sotterfugio.
Torniamo ai giorni nostri, o quasi. La prima convenzione internazionale a occuparsi di diritto d’autore fu firmata a Berna nel 1886. I sistemi giuridici occidentali si occupano di plagio, anche se raramente esso viene nominato in modo diretto. Si preferisce fare riferimento alle nozioni di creatività e originalità, spesso senza darne una chiara definizione.
Esistono molte definizioni di plagio, quasi mai univoche. Ogni università, istituto di ricerca, ogni editore si adopera per darne una sua propria. E, come succede ogni qualvolta un affare umano incontra la modernità della burocrazia, anche il concetto di plagio si complica risolvendosi in un rivolo di norme e definizioni.
Quali definizioni di plagio
Il dizionario Treccani online ne dà una definizione scarna: (si definisce plagio) il fatto di chi pubblica o dà per propria l’opera letteraria o scientifica o artistica di altri; anche con riferimento a parte di opera che venga inserita nella propria senza indicazione della fonte.
Il Merriam-Webster online dictionary è più esaustivo: rubare e spacciare (le idee o le parole di un altro) come proprie (al fine di utilizzare la produzione dell’altro) senza citare la fonte; commettere un furto letterario; presentare come nuova e originale un’idea o un prodotto derivato da una fonte esistente.
In altre parole, il plagio è un atto di frode. Implica sia rubare il lavoro di qualcun altro che mentire su di esso in seguito.
Il sito plagiarism.org sintetizza il fenomeno in dieci categorie:
- Clonazione (Clone): usare il lavoro di qualcun altro, parola per parola.
- Ctrl+C: utilizzo di una parte significativa del lavoro già pubblicato senza alcuna modifica.
- Trova-Sostituisci (Find-Replace): solo le parole chiave e le sezioni specifiche vengono modificate per nascondere il fatto che l’intero contenuto è stato copiato dal lavoro di qualcun altro.
- Remix: riformulare le frasi chiave sfruttando più fonti per far apparire originale il lavoro.
- Ricicla (Recycle): utilizzare un proprio lavoro precedente per crearne uno nuovo (autoplagio).
- Ibrido (Hybrid): una perfetta combinazione di sezioni citate e sezioni copiate senza citazioni o crediti.
- Mashup: copia da più di una fonte.
- Errore 404 (Error 404): Fornire citazioni da fonti che non esistono.
- Aggregazione (Aggregator): quando il documento di ricerca è privo di lavoro originale, ma contiene una corretta citazione delle fonti.
- Re-Tweet: contiene una citazione adeguata, ma la parte centrale del documento segue lo stile di scrittura della fonte.
La parafrasi è il tipo di plagio più diffuso. Ne esistono varie tipologie: è spesso usata (volontariamente) in pubblicità dove si sfruttano espressioni o stilemi in campi diversi da quello originario, in genere tramite la sostituzione di parole chiave, al fine di creare frasi ad effetto.
Nel campo della letteratura scientifica la parafrasi è usata per esprimere in forma diversa dall’originale idee e concetti. Se la parafrasi è la forma di plagio più diffusa è anche la più facile da evitare, essendo quasi sempre sufficiente un corretto uso delle citazioni per evitarla. Esistono anche software online che offrono, a pagamento, la possibilità di parafrasare testi, così come esistono software in grado di individuare le parafrasi.
Il problema rischia di farsi grave quando intervengono incompetenza e distrazione. Capita spesso che gli autori pensino che sia sufficiente una semplice rielaborazione linguistica per non incorrere nel plagio. Sbagliando.
In alcuni casi, sempre in errore, gli autori citano loro stessi senza referenziare i testi. È questo il caso del cosiddetto autoplagio, forse meno grave sul piano etico, ma ugualmente sanzionabile. I giornali scientifici trattano l’autoplagio in modo non uniforme, ponendo limiti variabili alla quantità di testo di propria produzione che può essere ripreso e riproposto liberamente. Occorre notare che i software sono in grado di trattare questi casi come un qualunque altro caso di plagio.
Quali conseguenze?
Che si tratti di un’azione commessa volontariamente o che sia frutto di inesperienza, il plagio può causare seri problemi a chi lo commette. A partire dagli studenti che, da meno esperti, ricorrono forse più spesso e in modo ingenuo a questa pratica. Le conseguenze possono avere un impatto significativo sulla carriera universitaria: penalizzazione nel voto, mancato superamento di esami, azioni disciplinari che possono giungere all’espulsione. Sul piano professionale le conseguenze possono essere altrettanto gravi e possono portare alla totale compromissione della propria reputazione di ricercatore. Le università si mostrano molto attive nel tentativo di arginare il fenomeno del plagio: corsi e linee guida fioriscono un po’ ovunque con lo scopo di offrire un aiuto effettivo a studenti e ricercatori e, al tempo stesso, di mostrare un atteggiamento intransigente verso la pratica del plagio così da mantenere alta la propria reputazione istituzionale.
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