La valutazione biologica è un processo complesso, che richiede un approccio integrato e multidisciplinare. Tra le figure professionali fondamentali in questo ambito, il tossicologo riveste un ruolo chiave, poiché è essenziale per comprendere l’impatto complessivo del dispositivo sulla salute umana.
Analizziamo ora i principali contributi che il tossicologo apporta nella valutazione biologica dei dispositivi medici a base di sostanze.
Dati scientifici e affidabilità: il valore di un’analisi rigorosa
Il primo step nella valutazione biologica di un dispositivo medico a base di sostanze è la raccolta dei dati tossicologici relativi ai suoi costituenti. A prima vista, la ricerca di letteratura potrebbe sembrare un’operazione semplice e lineare. Tuttavia, nella pratica, ci si trova spesso di fronte a una notevole quantità di dati, talvolta discordanti, su un singolo costituente. Questa mole di informazioni, provenienti da studi con metodologie e obiettivi differenti, rende l’interpretazione e l’estrazione di dati affidabili un processo complesso, che richiede analisi critica, esperienza e un approccio metodico. E’ proprio qui che entra in gioco il tossicologo: in base alle sue competenze riesce a discernere fonti affidabili da quelle di minor qualità. Un criterio chiave per questa analisi è il Klimisch score, un sistema che permette di classificare gli studi in base alla loro affidabilità e rilevanza. Applicando questo metodo, il tossicologo garantisce che solo dati scientificamente validi siano utilizzati per supportare la sicurezza dei dispositivi medici, riducendo il rischio di interpretazioni fuorvianti.
Valutazione critica degli endpoint: etica, scienza ed ottimizzazione delle risorse
Il passo successivo consiste nella valutazione gli endpoint tossicologici definiti in base alla categorizzazione del dispositivo secondo la norma ISO 10993-1. Anche in questo caso il tossicologo svolge un ruolo chiave in quanto grazie alla sua formazione e all’esperienza nella lettura critica dei dati, è in grado di analizzare gli endpoint tossicologici in modo approfondito e di distinguere i casi in cui è possibile supportare la biocompatibilità con un razionale scientifico solido e comprovato. Spesso, infatti, in assenza di una figura specializzata che assiste l’azienda fin dalle prime fasi della valutazione biologica, si tende a optare per un approccio conservativo che porta all’esecuzione automatica di test aggiuntivi, senza considerare alternative più etiche ed economicamente sostenibili. La gestione di uno o più endpoints tramite razionale tossicologico consente invece di evitare test non strettamente necessari, soprattutto quando questi implicherebbero l’uso di animali da laboratorio. La riduzione degli animali non è solo un imperativo etico, ma rappresenta anche uno dei principi fondamentali dei metodi alternativi riconosciuti a livello europeo ed internazionale, come quelli delle 3R: replacement (sostituzione), reduction (riduzione), e refinment (perfezionamento). Evitare test superflui significa anche ridurre i costi per il cliente ed ottimizzare tempi e risorse, mantenendo al contempo la piena conformità ai requisiti normativi vigenti.
Test di biocompatibilità: quando i risultati possono ingannare tra falsi positivi e negativi
Nel caso in cui uno o più studi di biocompatibilità siano ritenuti necessari, il tossicologo assume un ruolo centrale nell’interpretazione critica dei risultati dei test, distinguendo dati affidabili da possibili falsi positivi o falsi negativi, e anche giustificare scientificamente eventuali risultati inaspettati. Questa analisi è fondamentale per escludere risultati fuorvianti e garantire una valutazione accurata della sicurezza del dispositivo.
Ad esempio, nei test di citotossicità, un dispositivo può risultare citotossico non a causa di un’effettiva tossicità intrinseca, ma piuttosto per i limiti tecnici del sistema sperimentale. Infatti, tali test utilizzano come modello un monostrato cellulare (monolayer), il quale non riproduce fedelmente la complessità dei tessuti biologici in vivo. Per esempio, alcuni polimeri, come il poliuretano, possono inibire la vitalità cellulare in vitro, determinando un esito apparentemente citotossico nello studio. Tuttavia, nell’ambiente biologico reale (in vivo), le cellule sono organizzate in strutture tridimensionali e multistrato, garantendo una maggiore adattabilità rispetto alle condizioni semplificate del test di laboratorio. Di conseguenza, il risultato di citotossicità ottenuto in vitro non riflette necessariamente una reale tossicità in vivo.
Il problema dei falsi positivi non riguarda solo i test di citotossicità, ma anche altri studi come quelli di mutagenicità. In questo contesto, alcune classi di sostanze, tra cui gli acrilati, richiedono un’interpretazione particolarmente attenta dei risultati di aberrazione cromosomica.
Viceversa, possono verificarsi falsi negativi quando un dispositivo risulta privo di effetti tossici nei test in vitro, ma potrebbe indurre reazioni avverse in condizioni reali. Questo può accadere perché alcuni sistemi sperimentali in vitro non sono in grado di riprodurre fedelmente tutti i meccanismi biologici presenti in vivo.
Solo un’approfondita analisi tossicologica permette di interpretare correttamente i risultati, valutando l’impatto di ogni test nel contesto globale della biocompatibilità del dispositivo, garantendo così una valutazione scientificamente solida che permetta da una parte di garantire la sicurezza degli utilizzatori del device e dall’ altra di evitare alle aziende produttrici costi aggiuntivi legati alla ripetizione dei test superflui.
Oltre gli endpoint biologici: valutazione del dispositivo a 360°
Sarebbe un errore considerare il ruolo del tossicologo esclusivamente circoscritto alla valutazione dei costituenti del dispositivo e all’analisi critica dei test di biocompatibilità. Infatti, il suo lavoro inizia molto prima, analizzando l’intero processo produttivo. Questo significa considerare tutte quelle sostanze che, pur non essendo intenzionalmente presenti nel dispositivo finale, possono lasciare tracce: additivi di processo, agenti di pulizia, etc. Ogni fase può introdurre potenziali rischi, e il compito del tossicologo è proprio quello di individuarli e valutarli in modo critico.
Anche la sterilizzazione viene esaminata con attenzione. Non si tratta solo di sapere quale metodo è stato utilizzato, ma di capire se può lasciare residui, se è compatibile con i materiali del dispositivo e del suo packaging, e se i residui sono sicuri per il paziente in base alla durata del contatto e alla popolazione target.
Un altro aspetto da non trascurare è il packaging, soprattutto quello primario. Non sempre è possibile ottenere certificazioni specifiche per uso farmaceutico o riferimenti alla Farmacopea. In questi casi il tossicologo valuta se altre dichiarazioni disponibili, come quelle per contatto alimentare, possono essere considerate sufficienti. Questo approccio di valutazione permette di costruire una valutazione biologica solida anche in assenza di documentazione completa. Non si tratta di cercare la conformità a tutti i costi, ma di integrare normative diverse in un’ottica di valutazione del rischio contestualizzata e credibile.
In sintesi: perché il tossicologo è essenziale nella valutazione biologica?
In definitiva, la sicurezza di un dispositivo medico non si misura solo con test di laboratorio e certificazione.
Essa richiede un insieme di competenze trasversali, una meticolosa attenzione ai dettagli e una visione d’insieme complessa e profonda, elementi che trovano nella competenza del tossicologo un presidio fondamentale e distintivo.