Skip to content

L’impact factor è davvero importante?

L’impact factor di una rivista scientifica è il tasso medio di citazione annuale degli articoli contenuti in essa. Ma qual è l’interpretazione che dobbiamo dare a questo parametro?

Picture of Ester Musu

Ester Musu

Medical Writing Executive

Dello stesso autore

come calcolare l'impact factor di una rivista scientifica

Una delle domande – forse la prima! – che ci sorge durante il processo di sottomissione di un lavoro ad una rivista scientifica è “Qual è l’Impact Factor della rivista?”. La domanda è di rito, quasi un lasciapassare auto-imposto. Se non si conosce l’Impact Factor, non se ne parla proprio di pubblicare! Ma perché questo numero è così importante? E soprattutto, è davvero così importante? Cerchiamo di fare chiarezza.

L’Impact Factor (IF) di una rivista è un indice sintetico, attualmente di proprietà di Thomson Reuters, che misura la frequenza con cui vengono citati in media in un determinato anno (es. nel 2023) gli articoli pubblicati in essa nei due anni precedenti (quindi nel 2021 e 2022), pertanto, possiamo semplicemente definirlo il tasso medio di citazione annuale di tutti gli articoli contenuti nella rivista nei due anni precedenti (per approfondire leggi il nostro precedente articolo).

 

Come nasce l’impact factor

Per più di mezzo secolo e ancora oggi, l’IF ha rappresentato e rappresenta l’indice per eccellenza di qualità e di prestigio di una rivista ed è tutt’ora considerato il fattore più importante nella valutazione delle pubblicazioni. In realtà, l’IF non nasce come parametro di valutazione della ricerca scientifica, ma piuttosto nasce dalla necessità di facilitare l’accesso alla bibliografia scientifica.

Per capire meglio, vi raccontiamo in breve la sua storia. Agli inizi degli anni Sessanta, a Filadelfia, nasce l’Institute for Scientific Information (ISI), con lo scopo di catalogare tutte le pubblicazioni scientifiche in modo da offrire una maggiore possibilità di accesso bibliografico ai dati della ricerca scientifica. Il suo fondatore, Eugene Garfield fu il primo che, nel 1955, introdusse il concetto di indicizzazione delle citazioni. Garfield ebbe l’idea di includere nei dati principali di ogni pubblicazione scientifica (titolo, autori, bibliografia e riassunto), anche l’elenco delle citazioni ricevute dagli autori. Lo scopo era quello di facilitare le ricerche bibliografiche, o anche, semplicemente, di seguire la progressione nel tempo di un lavoro scientifico.

Nel 1964, viene introdotto per la prima volta il Science Citation Index (SCI), una banca dati bibliografica che conteneva, per ogni pubblicazione, tutte le citazioni ricevute in altri lavori, permettendo quella che Garfield chiamava “associazione di idee”. In questo repertorio erano ammesse solo le riviste che sottoponevano i loro articoli ai referee e che soddisfacevano specifici criteri di ammissione.

È in questo contesto che nasce il journal impact factor, ossia l’impatto che la rivista ha sulla comunità scientifica, che è calcolato come il rapporto tra il numero di citazioni che una rivista scientifica riceve in un determinato anno sugli articoli pubblicati nei due anni precedenti e il numero degli articoli citabili.

La valutazione dell’impact factor

L’ISI, ogni anno, sulla base dello SCI calcola l’IF e lo pubblica nei Journal Citation Report (JCR), entusiasticamente considerati da ricercatori come la classifica dell’eccellenza editoriale scientifica.

Ma, c’è un “MA”: l’IF di una rivista non è associato a fattori quali la qualità dei contenuti o la serietà del processo di peer review, bensì è una mera misura che riflette il numero medio di citazioni che gli articoli pubblicati su riviste, libri, atti di conferenze o seminari, e qualsiasi altro documento approvato, ricevono nell’anno di interesse.

È chiaro che riviste che pubblicano un numero maggiore di Review Article saranno le più citate e avranno un IF elevato, ma è anche vero che molte di queste riviste contengono un numero altissimo di Review e nessuna innovazione scientifica. Allo stesso modo, articoli inerenti la ricerca sul cancro avranno un numero di citazioni maggiori essendo un argomento di big-science, ma questo non significa che l’articolo su una rivista ortopedica con un IF basso non sia di buona qualità. Ancora, una rivista può aumentare il proprio IF mediante l’autocitazione; l’autocitazione di articoli pertinenti è ovviamente legittima, ma non è consentito abusarne.

La gestione editoriale può iniziare ad essere sospetta quando l’autocitazione arriva a livelli che superano il 20%; clamoroso fu il caso della rivista che aumentò il proprio IF di 18 volte grazie a 303 autocitazioni (chiaramente la rivista è stata penalizzata e ha visto scendere drasticamente il proprio IF l’anno successivo!). Non solo, la preferenza dello SCI per le riviste in lingua inglese, limita fortemente l’IF di riviste prodotte in lingue diverse, nonostante contengano articoli di ottima qualità. Infine, anche l’utilizzo dell’IF di una rivista per valutare il singolo ricercatore che vi ha pubblicato, è un utilizzo improprio, in quanto, come riportato dagli stessi Garfield e Reuters, rispettivamente creatore e attuale proprietario dell’IF, all’interno di una rivista è presente una grande varietà di articoli, pertanto i valutatori dovrebbero leggere tutti gli articoli prima di utilizzare l’IF della rivista nella valutazione individuale. 

Valutare la qualità scientifica è un problema notoriamente arduo che non può avere un’unica soluzione standard. L’utilizzo di un parametro in un certo senso “manipolabile” pone molte limitazioni (le avevamo, in parte, già viste precedentemente in questo nostro articolo), delle quali dobbiamo essere consapevoli.

Non vogliamo demonizzare l’IF, ma semplicemente accendere un riflettore sulla sua corretta interpretazione, ricordando le parole del Premio Nobel Sidney Brenner: “Ciò che più conta in assoluto è il contenuto scientifico di un articolo, e niente può sostituire né il conoscerlo né la lettura di esso”.

Bibliografia:

Seglen PO. Why the impact factor of journals should not be used for evaluating research. BMJ. 1997;314(7079):498-502.

Angelini A. et al., Impact Factor e valore scientifico delle pubblicazioni ortopediche. Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia. 2016;42:25-33.

Sharma M, Sarin A, Gupta P, Sachdeva S, Desai AV. Journal impact factor: its use, significance and limitations. World J Nucl Med. 2014;13(2):146.

Picture of Ester Musu

Ester Musu

Medical Writing Executive

I nostri servizi associati a questo tema

Iscriviti alla newsletter di Clariscience

Articoli consigliati

Il Regolamento Europeo sui Dispositivi Medici (MDR) definisce lo sponsor di uno studio clinico come “qualsiasi persona, società, istituzione oppure…
Nel momento in cui si decide di sottomettere il proprio manoscritto ad una rivista scientifica, nella stragrande maggioranza dei casi,…
La metanalisi permette di sintetizzare le evidenze di molteplici studi per pervenire a risultati che possano essere più solidi e…
L’abstract congressuale è composto da tre elementi principali: il titolo, la lista degli autori con le rispettive affiliazioni e una…

Desideri avere maggiori informazioni sui nostri servizi?

SERVIZI

Desideri avere maggiori informazioni sui nostri servizi.

ABOUT US

Corporate

Scopri quali sono i valori alla base della nostra azienda, l’ecosistema all’interno del quale operano le persone che lavorano con noi, l’approccio che adottiamo nel rapporto con il cliente e le iniziative liberali selezionate e sostenute negli anni.

Work with us

Informati su eventuali posizioni aperte, invia la tua candidatura spontanea e scopri quali sono le caratteristiche dei profili professionali di chi già lavora con noi.

Programma segnalatori

Se operi nel settore life science, c’è una nuova opportunità che ti aspetta. Partecipando al Clariscience Referral Program potrai mettere a frutto economicamente la tua esperienza e la tua rete di contatti.

Desideri avere maggiori informazioni sui nostri servizi?