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Google Scholar: amico o nemico?

Google Scholar indicizza numerosi materiali provenienti da università e case editrici in ambito scientifico. In alcuni casi, tuttavia, l’uso di questo motore di ricerca può essere fuorviante.

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Anna Paro

Medical Writing & Scientific Communication Executive

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Google Scholar

Considerati gli obblighi e gli oneri previsti dall’entrata in vigore del Regolamento MDR 2017/745, ad oggi, la ricerca e la raccolta del dato clinico rappresentano dei processi di fondamentale importanza per il fabbricante di dispositivi medici. A loro volta, è necessario che le strategie tramite cui poter identificare tali dati siano, oltre che metodiche ed accurate, precise e riproducibili. A tal proposito, una delle modalità più comunemente utilizzate in questo contesto è rappresentata dalla ricerca bibliografica di letteratura. Tale processo, infatti, permette di individuare – attraverso l’uso di specifiche banche dati – dei documenti di carattere pubblico che riguardano un determinato argomento.

Tra le diverse fasi che compongono il processo di ricerca bibliografica, la scelta del database da utilizzare rappresenta una decisione piuttosto impattante per la corretta individuazione del dato clinico dato che, a parità di stringhe di ricerca e/o di filtri utilizzati, i risultati ottenuti possono variare notevolmente sia da un punto di vista numerico sia in termini di contenuto/pertinenza. Tra i database ad oggi più utilizzati troviamo, appunto, Google Scholar – un’estensione di Google che indicizza numerosi materiali provenienti da università e casi editrici in ambito scientifico. Se, da una parte, l’uso di questo database è associato a diversi aspetti vantaggiosi, dall’altra, Google Scholar presenta delle criticità che, se non gestite correttamente, possono complicare il processo di ricerca bibliografica. Vediamo, quindi, quali sono i punti di forza di questa banca dati e quali, invece, i limiti.

I principali vantaggi associati all’uso di Google Scholar sono essenzialmente: la facilità di utilizzo, la capacità di identificare una vasta gamma di documenti, la possibilità di impostare avvisi automatici e di gestire i risultati ottenuti tramite opportuni software di archiviazione bibliografica.

  • Facilità di utilizzo. L’uso di Google Scholar, grazie alla sua semplice interfaccia, risulta molto user-friendly. Questo, quindi, consente a chiunque possieda delle discrete competenze informatiche di usare il database senza alcuna difficoltà. Inoltre, laddove insorgano dubbi riguardanti le sue funzionalità, sono disponibili numerosi tutorial e manuali d’utilizzo che spiegano e chiariscono come poter utilizzare al meglio questo database.
  • Identificazione di molte tipologie di materiale. Google Scholar permette di identificare articoli e, in generale, materiale scientifico che, molto spesso, non è possibile identificare mediante l’uso di altri database. Tra questi, ad esempio, tesi di laurea e/o di dottorato, libri, pre-stampe e sommari, recensioni, abstract congressuali e rapporti tecnici di molteplici settori della ricerca scientifica. Questo, quindi, permette di ricercare con facilità qualsiasi evidenza clinica pubblicata riguardanti uno specifico argomento e/o dispositivo medico.
  • Alert automatici. Un altro punto di forza di questa banca dati è dato dalla possibilità di impostare degli alert automatici. Proprio per questo motivo, l’uso di Google Scholar è particolarmente utile nella redazione dei Post Market Clinical Follow-up (PMCF) report in cui, appunto, l’impostazione di alert automatici consente l’individuazione della nuova letteratura pertinente pubblicata in tempo reale.
  • Gestione della bibliografia. Un ulteriore vantaggio che contraddistingue l’uso di Google di Scholar è rappresentato dalla possibilità di poter esportare facilmente i risultati ottenuti dalla ricerca in software per la gestione di riferimenti bibliografici. In questo modo, è possibile non solo gestire al meglio i risultati ottenuti ma anche organizzarli ed archiviarli in maniera ordinata e metodica.

D’altro canto, le limitazioni relative all’uso di Google Scholar sono rappresentate dai pochi filtri a disposizione, dalla impossibilità di focalizzare la ricerca e dall’elevato numero di risultati identificati dal database.

  • Pochi filtri a disposizione. A differenza degli altri database Google Scholar permette di filtrare la ricerca limitatamente all’anno di pubblicazione e alla lingua di redazione del documento. Non consente, tuttavia, di discriminare i risultati della ricerca in base alla tipologia di articolo (review, meta-analisi, case report…) e di ricercare i risultati all’interno di un range temporale più specifico (ad esempio, da maggio 2019 a settembre 2023).
  • Non c’è la possibilità di focalizzare la ricerca. Al contrario degli altri database, in cui è possibile ricercare determinate keywords in specifici campi di ricerca dell’articolo (titolo dell’articolo, nome della rivisita, ecc..), Google Scholar non è in grado di focalizzare la ricerca in determinate sezioni dell’articolo. Al contrario, tramite questo motore di ricerca, le parole chiave vengono sempre e solo ricercate in tutto il testo dell’articolo.
  • Numero e pertinenza dei risultati. Come detto in precedenza, i risultati che solitamente emergono da una ricerca di Google Scholar sono tendenzialmente più elevati rispetto a quelli che si ottengono, ad esempio, da Pubmed. È quindi necessario che le parole chiave selezionate, la loro combinazione e l’eventuale uso di operatori booleani avvenga in modo opportuno e consapevole.

Alla luce di queste considerazioni, quindi, possiamo capire come – a seconda dell’uso di questo database – Google Scholar possa rappresentare un “amico”, tramite cui poter ricercare evidenze e dati clinici, magari particolarmente difficili da reperire, o un “nemico”, in grado di mostrare dei risultati poco pertinenti alla ricerca che stiamo eseguendo.

Come fare, quindi, ad utilizzare correttamente e strategicamente questo database? Sicuramente l’uso di adeguate parole chiave, la formulazione di opportune stringhe di ricerca e la scelta di filtri e/o operatori booleani rappresentano un valido punto di partenza. Tuttavia, ogni ricerca è un caso a sé e richiede, quindi, dei ragionamenti e delle considerazioni che non possono essere determinate a priori. Il nostro consiglio, dunque, considerando la rilevanza che ad oggi il dato clinico possiede, è di non sottovalutare mai la complessità di un processo di ricerca bibliografica né tantomeno di utilizzare un database – come appunto Google Scholar – senza aver attentamente studiato la strategia da adottare.

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