In un articolo destinato a descrivere i risultati di uno studio clinico l’introduzione permette al lettore di inquadrare il contesto clinico in cui lo studio è stato svolto e descrive quali siano i motivi, in questo contesto, che hanno portato alla sua conduzione. L’introduzione, in altri termini, dovrebbe permettere al lettore di ripercorrere rapidamente i punti fondamentali che caratterizzano il contesto clinico in cui si è svolto lo studio, comprendere a quale o a quali questioni aperte lo studio tenti di rispondere, e – di conseguenza – giustificarne l’esecuzione all’interno dello stesso contesto, possibilmente interessando il lettore ed invogliandolo a continuare la lettura.
Esiste una “struttura” standard di una buona introduzione? La risposta non è univoca. Tuttavia, alcune considerazioni possono orientare il writer nella sua stesura. La prima considerazione è che anche l’introduzione, come tutto l’articolo, dovrebbe avere un filo logico preciso e nitido agli occhi del lettore. Un possibile approccio alla sua stesura potrebbe essere quello dello “zoom-in”. Un esempio di questo approccio, che citiamo perché semplice da ricordare, anche se non legato alla letteratura di tipo scientifico, lo ritroviamo nel celebre inizio de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni: in cui da quel ramo del lago di Como la visuale a poco a poco si restringe e, prima percorrendo con lo sguardo quella parte che diventa fiume, e le stradicciole che lo costeggiano, si giunge infine a vedere Don Abbondio che tornava bel bello dalla passeggiata verso casa. L’approccio funziona perché guida il lettore a seguire con lo sguardo un affinarsi dei dettagli, fino a focalizzarsi su di un unico soggetto e su quello che (ahilui!) gli succederà di lì a poco.
Così, l’introduzione di un articolo clinico potrebbe seguire una struttura simile. Ipotizziamo si tratti di uno studio relativo ad una patologia e ad una sua modalità di trattamento, in relazione alla quale lo studio è stato condotto. L’introduzione potrebbe, in questo caso, iniziare dando alcune informazioni di base in relazione alla patologia, ad esempio relativamente alla sua incidenza e prevalenza – così che il lettore comprenda alcuni elementi fondamentali – per poi ripercorrerne rapidamente l’eziologia. Ci si concentrerà poi su una breve descrizione della terapia attuale evidenziandone i limiti e, se è il caso nel contesto dello studio condotto, descrivendo l’eventuale novità terapeutica introdotta. Si espliciteranno quindi, quale o quali domande restano aperte, a partire dal contesto appena descritto, e – tra queste – si identificherà quale sia quella a cui lo studio ha intenso contribuire a dare risposta, e perché a questa domanda è importante rispondere. L’introduzione, in altri termini, terminerà enunciando l’obiettivo primario dello studio: dando il corretto aggancio alla sezione “Pazienti e metodi” che, conseguenzialmente, dovrà descrivere come si è operato per raggiungere questo obiettivo.
Un’introduzione che abbia una struttura simile a quella appena descritta (con tutte le modifiche del caso da apportarsi in relazione allo studio condotto) ha il vantaggio di seguire un filo logico piuttosto lineare e, per così, dire “autoportante”: conduce il lettore a comprendere contesto e motivo per cui lo studio è stato condotto, ne delinea l’obiettivo primario e, possibilmente, invoglia a continuare la lettura. Un miglioramento ulteriore, non strettamente necessario ma a volte opportuno, consiste nel tenere in considerazione, scrivendo l’introduzione, come saranno discussi i risultati: inserendo in introduzione quelle informazioni che è meglio richiamare alla mente del lettore per prepararlo poi a quanto si vorrà esprimere in discussione. In questo modo l’introduzione non sarà solo “veicolo” verso la descrizione dell’operatività dello studio (“Pazienti e metodi”) ma, più a lunga gittata, permetterà di dare maggiore coerenza all’intero lavoro in relazione a come i risultati saranno discussi e, quindi, a quanto espresso nella sezione “Conclusioni”.