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Dall’articolo scientifico allo strumento di comunicazione – Parte 1

Un articolo scientifico può essere il punto di partenza per creare strumenti di comunicazione anche molto diversi fra loro; per realizzarli è spesso necessario affidarsi a un team con sensibilità e competenze trasversali.

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Paola Gallon

Medical Writing & Scientific Communication Manager

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Questo articolo propone una breve sintesi di quanti modi possano esistere per creare strumenti di comunicazione a partire da un singolo articolo clinico.

La domanda, che potrebbe anche avere un significato solo di tipo culturale, assume una particolare importanza quando calata nel contesto della comunicazione di un’azienda del settore life science e della cura della persona. Le aziende che operano in questo settore, trattino esse farmaci, dispositivi medici, cosmetici, integratori o altro, infatti, “vivono” il dato clinico sotto due differenti punti di vista, tanto da poterlo veramente raffigurare, mentalmente, come un Giano bifronte: da un lato, infatti, vi è la necessità di generare il dato clinico in un contesto di validazione di prodotto, al fine di verificare che questo sia effettivamente sicuro ed efficace come deve essere (e, da questo, ne consegue poi il suo significato regolatorio); dall’altro, il dato clinico che dimostra sicurezza ed efficacia è il “suggello” di verità in relazione alla comunicazione relativa al prodotto.

L’articolo clinico giace lì, tra questi due poli. È un oggetto “nobile” (in quanto pubblicato), ma – pur apportando sostanza sia alla validazione del prodotto che alla comunicazione che lo riguarda – non lo fa con vera efficacia rispetto nessuno dei due. Dal punto di vista della validazione del prodotto, della ricerca e sviluppo e degli affari regolatori, l’articolo, infatti, appartiene al passato: prima della sua pubblicazione il dato era già stato acquisito, i risultati dello studio erano già noti, ed erano già stati interpretati all’interno dell’azienda per il loro significato in termini di validazione di prodotto e per il loro peso regolatorio. Dal punto di vista della comunicazione commerciale, è notorio che esso da solo servirà a ben poco, se non a nulla: lasciato al medico, solitamente giacerà sulla sua scrivania intoccato; in un manuale per l’informatore, se il suo contenuto non sarà spiegato adeguatamente, resterà un paio di linee in un elenco – già forse molto nutrito – di riferimenti bibliografici.

Come tutti gli oggetti “di mezzo” l’articolo, in realtà, si esprime solo se viene trasformato e trasposto in una forma che sia più vicina a uno dei due poli dove può trovare la sua vera valorizzazione. Vediamone assieme alcuni, nel breve elenco che segue.

Il mondo della validazione/regolatorio

  • Il summary report: un riepilogo per punti, tecnico, dove sono riepilogati i risultati clinici, e il loro significato in relazione al background clinico, nonché il significato e le possibili conseguenze regolatorie dei risultati per il prodotto in esame.
  • Il data extraction form: l’estrapolazione del dato sotto forma di modelli schematici e riassuntivi.
  • La tabella dei dati di efficacia: l’efficacia del prodotto, in numeri.
  • La tabella dei dati di sicurezza: la sicurezza del prodotto, in numeri.
  • Supporto scientifico per i claim di marketing: l’evidenza concreta di quanto sostenuto dal marketing.
  • Il compendio clinico: la raccolta di tutte e le sole evidenze cliniche, stabilita una determinata popolazione target o condizione di interesse.

Il mondo della comunicazione

  • Il visual folder: in versione web o cartacea, racconta e riassume l’articolo con pochi claim, accompagnati da una grafica di impatto.
  • La sintesi per il clinico: il core dell’articolo, con un linguaggio specialistico ed efficace, spesso reso in lingua italiana.
  • L’infografica: l’articolo raccontato tramite immagini e brevi messaggi chiave.
  • L’abstract scientifico: il riassunto, privo di interpretazioni o commenti, mantiene la struttura tipica del lavoro di partenza.
  • Il poster scientifico: la presentazione statica e riassuntiva dei risultati ottenuti.
  • L’executive summary: la sintesi di tutti i risultati e punti chiave presenti nel lavoro originale, per una presentazione a decision maker non necessariamente competenti in materia.
  • Il white paper: un documento informativo per promuovere o evidenziare le caratteristiche del proprio prodotto, sulla base della letteratura disponibile.
  • La presentazione per la formazione dell’informatore: raccontare i risultati a chi dovrà raccontarli a sua volta.
  • Video-pillole: l’articolo reso animato – da brevi spot da condividere nei social, a veri e propri strumenti di formazione
  • Materiale destinato al paziente/utilizzatore: il contenuto principale dell’articolo, raccontato a paziente e utilizzatore con un linguaggio semplice, accurato, efficace.

Già dalla breve descrizione che abbiamo dato di questi oggetti appare chiaro come le possibilità siano molteplici e legate in sintesi al destino che vogliamo dare al dato clinico raccolto: cosa vogliamo che esprima, come vogliamo esprimere questo contenuto, a chi vogliamo trasmetterlo e attraverso quali canali. Differenze anche minime, infatti, possono cambiare completamente la natura dell’oggetto di comunicazione o dell’oggetto di validazione preparato.

Per potere sfruttare al meglio questa “tavolozza” di possibilità, è necessario affinare e poi impiegare simultaneamente competenze diverse. Ciascuno degli oggetti descritti infatti ha, ad esempio, un testo differente – non solo per contenuto (nell’oggetto finito si ritroveranno messi in luce maggiormente – nei diversi casi – alcuni contenuti dell’articolo originale, mentre altri verranno volutamente tralasciati) – ma anche per linguaggio: questo, più o meno tecnico per terminologia, sarà modulato anche – e volutamente – nel tono. Questo sarà vero per il testo scritto, e ancor più lo diverrà per la trasformazione grafica dei contenuti. La necessità, nell’operare questa trasformazione, che siano “messe in campo” contemporaneamente diverse competenze fa sì che alcuni di questi oggetti possano essere realizzati solo in team e non da un’unica risorsa.

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Paola Gallon

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